Architettura



PIAZZA DEI CAVALIERI E GLI UFFIZI

Giorgio Vasari a Pisa e Firenze. Confronto tra due interventi a scala urbana *


E' possibile tentare di tracciare un confronto tra due interventi che Vasari porta avanti quasi contemporaneamente nelle due città di Firenze e Pisa con la particolarità di essere entrambi progetti che investono un intorno urbano. Vasari affronta questa fase costruttiva dopo l’esperienza maturata nella prima parte della ristrutturazione a Palazzo della Signoria (1554-1558). Secondo Paola Barocchi, che ha studiato attentamente le differenti sfumature tra le due edizioni delle Vite1, Vasari acquista una maggior sensibilità nell’articolazione ambientale che lo induce a respingere indicazioni astratte o universali, anche se provenienti dalla trattatistica più accreditata, per calarsi nella specificità degli edifici, evidenziandone i caratteri strutturali e le loro più originali e significative attuazioni.
Tali osservazioni possono aiutarci a comprendere l’atteggiamento con cui l’artista aretino si è accostato ai progetti di questi anni. A Firenze le indicazioni di Cosimo prevedevano la costruzione di uffici destinati ad ospitare le 13 magistrature e le più importanti funzioni amministrative che si trovavano sparse in varie zone della città, riorganizzando l’area intorno a Palazzo della Signoria ed affermando così la capacità di controllo del governo. Oltre al dato funzionale relativo alle varie necessità di spazio, dei percorsi distributivi, delle diverse funzioni da ospitare, che richiedeva una organizzazione spazialmente duttile e differenziata, vi era anche il dato morfologico orientato a non conferire preminenza visiva a nessuna delle 13 magistrature, presumendo la ricerca di una struttura che fosse continua ed omogenea.
Situazione diversa troviamo a Pisa in Piazza degli Anziani dove si doveva collocare un’unica istituzione, l’Ordine dei Cavalieri di Santo Stefano, ma con funzioni diverse. Tale Ordine era destinato a svolgere un ruolo importante nella politica del Granducato, i suoi membri erano sottoposti ai precetti della regola benedettina, erano soldati e monaci al tempo stesso, votati a combattere gli infedeli ed assicurare tranquillità alle rotte commerciali fiorentine nel Mediterraneo. La loro sede doveva in parte ispirarsi alle tipologie monastiche - con un palazzo e convento, dotato di singoli alloggi per i cavalieri, e con ambienti collettivi di servizio e preghiera - ed in parte si allacciava a tipologie di rappresentanza per il prestigio politico ed il lustro che l’Ordine avrebbe apportato al governo attraverso cerimonie pubbliche al ritorno dei cavalieri vittoriosi, reduci da battaglie navali, con i loro trofei di guerra da esibire.
Sia a Firenze che a Pisa Vasari si trova di fronte a delle preesistenze architettoniche con cui sceglie di confrontarsi. Nel primo caso ci sono manufatti importanti come la Loggia dei Lanzi, la chiesa di San Pietro in Seracchio, la Zecca (che vengono mantenuti apportando qualche modifica alla chiesa) e tutta una serie di edifici di scarsa qualità (che verranno demoliti ad eccezione di una casa torre, poi inglobata nel progetto). L’architetto deve ritagliare il lotto su cui far sorgere l’edificio e definire i rapporti spaziali, visuali e distributivi che regoleranno il nuovo contesto in relazione alle preesistenze e all’intorno. L’intervento si qualifica quasi come un ampliamento degli apparati governativi, anche se in realtà le magistrature e le arti sono espressione dei vecchi soggetti politici della passata Repubblica. Tramite questo progetto urbano Cosimo intende sottomettere al suo controllo le varie magistrature infatti, con il “pretesto” di verificare la capacità di assolvimento degli oneri di edificazione, passa in rassegna tutte le carte contabili, lo stato finanziario e i rapporti economici delle istituzioni che si insedieranno negli Uffizi. E’ importante sottolineare questo aspetto, in quanto l’area intorno a Palazzo della Signoria viene a configurarsi come una cittadella del potere che richiama il suo schema tipologico “nell’antica idealità del Foro”2 così che la comunicazione visiva del programma di accentramento di Cosimo si concretizzerà in una organizzazione dello spazio rigorosamente prospettica.




Qui Vasari metterà a frutto la sua inclinazione creativa nell’ambito scenografico, ma è soprattutto a Pisa che l’artista è libero di sperimentare quell’inventiva capricciosa, ricca di temi allegorici, iscrizioni, decorazioni tipica degli apparati per le feste pubbliche. Nella vecchia Piazza degli Anziani infatti trova un contesto che potenzialmente contiene tutti gli elementi utili a fare del luogo un grande teatro urbano, dove si alternano i due momenti affollati delle grandi rappresentazioni e quelli della vita più ritirata del palazzo-convento. Durante le rappresentazioni il pubblico fluisce nella piazza dalle varie strade e si trova di fronte la scena con il fondale, costituito dal Palazzo dei Cavalieri e la Chiesa di Santo Stefano; la quinta del Palazzo dell’Orologio, con il grande arco di trionfo tutto affrescato con le imprese dei Medici, da cui entrano i protagonisti, Cosimo e la corte, come da una porta di proscenio; la scalinata del Palazzo, come palco da cui si fanno proclami e si arringa la folla; infine il sagrato della Chiesa, altro palcoscenico dove il duca nelle vesti di Granmaestro dell’Ordine riceve i cavalieri al ritorno dalle gloriose imprese, tra ali di sudditi festanti.
La piazza aveva già il suo “genius loci”, si era formata nei secoli accogliendo le varie istituzioni cittadine e adattandosi man mano che queste richiedevano nuovi spazi. Qui, fin da epoca precomunale, si raccoglieva la cittadinanza in occasione di importanti eventi, qui venivano lette le pubbliche sentenze e si svolgeva gran parte della vita sociale, non a caso tra gli storici c’è chi ipotizza che vi si trovasse l’antico foro romano. Vasari ha riadattato gli edifici della piazza alle varie funzioni dando una veste nuova ai prospetti, potenziando i tocchi scenografici, intervenendo sapientemente con gli espedienti a lui così familiari delle feste e degli apparati. Le case dipinte, i chiaroscuri, l’arco di trionfo, i busti scolpiti, gli stemmi “addobbati” con simboli allegorici, sono tutti elementi tipici dell’ “architettura parlante” dei pannelli provvisori di cui si popolavano le città durante le feste, trasferiti stabilmente sulle facciate degli edifici.
La stessa matrice scenografica, ma più solenne e austera, Vasari mette in atto a Firenze. Le due ali parallele degli Uffizi sono leggermente ruotate rispetto al filo che avrebbe impresso agli assi visuali il fronte della Zecca, e ciò denuncia e dichiara l’intenzione prospettica, con la fuga in profondità verso Palazzo Vecchio, Piazza della Signoria e di seguito le statue che illustrano simbolicamente la storia della città. Piazza degli Uffizi è principalmente un percorso, in un senso e nell’altro si offre come uno scenario permanente realizzato a scala urbana: i prospetti ravvicinati costituiscono quasi delle quinte, messe in senso perpendicolare e allungate iperbolicamente rispetto al fondale delle due scene contapposte di Piazza della Signoria con il Palazzo e del paesaggio oltrarno, incorniciato dall’arco trionfale con la statua di Cosimo I. Lo svolgersi seriale delle facciate articolate ritmicamente in entità architettoniche tripartite e simmetriche, si presenta come trama dai punti di osservazione estremi; si rinuncia alla visione d’insieme dell’edificio, ma questo diventa godibile quando -come durante una parata- si percorre la piazza al livello stradale. Qui, a portata di sguardo, Vasari predispone sui prospetti delle nicchie dove vengono collocate le statue dei personaggi più significativi della Toscana, al culmine della teoria si trova la statua di Cosimo posta sopra l’arco che raccorda le due ali prospettiche, al centro della serliana. Il congegno architettonico rivela il suo significato urbanistico attraverso l’uso che ne venne fatto fin da quando il complesso era ancora in costruzione: nelle grandi feste cittadine esso faceva tutt’uno con Piazza della Signoria3, veniva illuminato e utilizzato come piazza-salone in occasione di visite di personaggi illustri; alla morte di Cosimo I il corteo funebre si formò in parte sotto le logge prima di procedere verso San Lorenzo; fin dal 1578 venne utilizzato come strada per ingressi solenni e Alessandro de’ Medici lo attraversò prima di giungere in Piazza della Signoria e prendere possesso della diocesi.


Conosciamo già l’importanza culturale che Vasari dava alle prospettive teatrali (ad esempio in alcuni scritti si sofferma in descrizioni minuziose delle scene ideate dal Peruzzi, senza trattenere la meraviglia e quasi identificandosi con lo spettatore), al tempo stesso era anche consapevole dell’irraggiungibilità dell’assoluto urbano proposto dalle utopie quattrocentesche. Sulla base di ciò, nel suo operato di architetto, l’artista sembra operare una sintesi tra la finzione teatrale, facilmente traducibile nelle rappresentazioni effimere degli apparati, e la realtà contingente del contesto urbano, che “si oppone” alla trasformazione in senso utopistico della propria immagine. Vasari, per il quale l’attività di allestitore è una sublimazione dell’attività edilizia, agisce introducendo il rapporto tra architettura e teatro, costruendo spazi limitati (strade, piazze, percorsi) dove si possano rappresentare sulla scena cittadina, quegli ideali di vita che la cultura principesca aveva portato con sé 4. Nell’ambito urbano l’iniziativa si pone come una rottura con la città medievale, ne ingloba alcune parti ma ne ribalta la precedente organizzazione e ne trasforma la percezione. Questa diversa percezione investe non solo la città medievale ma anche quella quattrocentesca: la Firenze di Arnolfo si rappresentava attraverso centri importanti (il Palazzo, la Cattedrale); Brunelleschi con un atteggiamento simile aveva creato un centro supremo (la cupola) non solo della città ma del territorio; Vasari interviene sulla città trasformandone la struttura dei rapporti, da polare a lineare, e ciò è una novità assoluta perché per la prima volta si crea un continuum tra piazze, vie, ponti. Gli Uffizi costituiscono il primo passo della costruzione di questa successione di situazioni, con un rincorrersi di visioni e paesaggi che si riverbera sulla città e ne coinvolge la storia dirigendola verso la celebrazione del nuovo corso politico e intellettuale.
Se tale “linearità” e le concatenazioni con il percorso visivo circostante caratterizzano in ultima analisi la costruzione spaziale del “cortile” degli Uffizi, a Piazza dei Cavalieri troviamo una diversa tensione ambientale. La convergenza dei diversi assi prospettici che giungono dalle diverse strade cittadine è infatti nella piazza stessa, l’intensità visiva si concentra sul fulcro costituito dalla statua di Cosimo, che rimanda a sua volta al grande prospetto del Palazzo della Carovana. In realtà la focalizzazione degli assi non è rigorosa, infatti la piazza non ha una forma planimetrica tale da poter assecondare visuali prospettiche assolute. Anzi, se dovessimo approssimare la pianta, semplificandola, ad una figura geometrica regolare potremmo individuare un grande triangolo (con i tre lati formati dalle seguenti facciate: Palazzo della Carovana, Chiesa di Santo Stefano – Canonica, Palazzo del Consiglio dei Dodici – case sul lato ovest, chiesa di San Rocco, Palazzo dell’Orologio) oppure una forma ellittica, data la marcata caratterizzazione concava di edifici come la Canonica, il Palazzo della Carovana, il Palazzo dell’Orologio.



Queste valenze visivamente conferiscono al luogo un carattere che ricalca idealmente i due stati di “movimento” e “riposo” che è chiamato a vivere. In questo possiamo anche rintracciare una matrice organica che si riflette non solo nella distribuzione delle funzioni nei vari edifici della piazza, ma anche in una percezione a livello visivo di tale organicità. I lati obliqui di uno spazio triangolare non consentono ad una persona che vi si trovi, specialmente se vicina agli spigoli, di assumere una collocazione secondo i consueti punti cardinali. Il bisogno di orientamento fa scivolare lo sguardo sulle facciate con evidente effetto dinamico. Al tempo stesso, se ci si trova in un punto più centrale della piazza prevale la sensazione di “contenimento”, data dalla concavità dei prospetti. Non dobbiamo comunque dimenticare che neppure in tal caso ci si trova di fronte ad una regolarizzazione dello spazio che tende ai valori ideali del Rinascimento, infatti l’ellisse è una figura geometrica a due fuochi che “non concede requie” e che troveremo spesso nelle piante di edifici nel secolo seguente.



La “modernità” della piazza sta anche nella relazione dialogante delle varie facciate, tra loro accostate secondo orientamenti informali, coinvolgendo mezzi espressivi diversi - affreschi, graffiti, sculture - armonizzati in un insieme collaborante; nella scala monumentale, nei balconi-finestra, nella statua con fontana, elementi essenziali della dinamica degli spazi di un’architettura, che avranno un’evoluzione importante in età barocca; nella varietà di marmi colorati previsti per la facciata di Santo Stefano, che doveva dare un impatto vivace all’occhio dell’osservatore come contrappunto al serrato chiaroscuro dei graffiti del Palazzo della Carovana, a fianco del quale troviamo un’altra cortina di affreschi colorati. L’uso quasi spregiudicato che Vasari fa qui dei mezzi espressivi trova eco in quel “laboratorio di avanguardia” popolato da artisti, decoratori, architetti e artigiani, dove si sperimentano, spesso in forte anticipo sui tempi, un gran numero di novità che prima o poi attecchiranno in altre aree geografiche e che trova nelle grosse commesse statali e nelle periodiche celebrazioni dinastiche con feste, parate e spettacoli pirotecnici, alcuni dei momenti più appariscenti e corali.
Sebbene Piazza degli Anziani si sia originariamente presentata con caratteristiche che la rendevano “in nuce” già fruibile scenograficamente, la capacità di Vasari a parere nostro è racchiusa nella scelta di rispettare la vocazione del luogo senza stravolgerlo, vederne le potenzialità espressive, costruendo prospetti su un nuovo equilibrio visivo. Potremmo quindi spingerci ad affermare che come agli Uffizi, anche a Piazza dei Cavalieri Vasari ha operato in modo innovativo, introducendo una spazialità anticipatrice di tendenze che prenderanno poi pieno vigore in epoca barocca.

NOTE
1 Nel 1550 esce la prima edizione (ed. Torrentiniana) e nel 1568 la seconda edizione (ed. Giuntina); cfr. P. Barocchi, 1984, op.cit.p. 12.
2 Cfr. G. Kauffmann, Das Forum von Florenz, p. 37, in C. Conforti, 1993, op.cit. p.61.
3 Cfr. J. Lessmann, in Vasari Storiografo e artista, op.cit., p.256.
4 Cfr. A Mariotti, Vasari storiografo e artista, op.cit., p.589.


     BIBLIOGRAFIA
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INDICE ILLUSTRAZIONI
Foto e fotocomposizioni di L. Pommella e U. Panconi
eccetto:
Foto aeree (n 2 da E. Karwacka Codini, p.2;)
Foto n. 4 di L.Romano in C. Baracchini, p. 31;

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*Tratto dal capitolo 11 del testo:
"Lettura storico critica di Piazza dei Cavalieri a Pisa" - U. Panconi, L.Pommella, Camaiore 2003.



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IL LASTRICATO CHE CALPESTA
LA STORIA

«Una scelta sbagliata» *







di SALVATORE SETTIS

In questa Italia alla deriva, tutto (anche la storia) può esser sminuzzato, ridotto a chiacchiera, a pettegolezzo. Anche i più seri saperi tecnici e pareri professionali vengono spesso etichettati in base ad amicizie, consorterie, appartenenze, senza discuterne il contenuto e il merito. Nel piccolo, è quel che rischia di accadere anche a Pisa, per la discussione sulla pavimentazione di piazza dei Cavalieri. Vale perciò la pena di provare a far chiarezza. Una premessa è necessaria: il Comune di Pisa sta conducendo in questi anni molti progetti di miglioramento della città, generalmente positivi (ma questo non vuol dire che sia vietato esprimere riserve su un singolo progetto); piazza dei Cavalieri, asfaltata da decenni, esigeva una nuova pavimentazione (ma questo non vuol dire che qualsiasi soluzione sia quella buona). Sui progetti del Comune per piazza dei Cavalieri fui consultato anni fa (2007, credo). L’opinione che allora espressi analiticamente non è cambiata: provo a riassumerla.
Quella che oggi si chiama piazza dei Cavalieri fu a Pisa la piazza del Comune, l’equivalente di piazza delCampo a Siena o di piazza della Signoria a Firenze. L’impianto della piazza è medievale: si chiamò un tempo “delle Sette Vie”, e s’incentrò su quel Palazzo degli Anziani che fu il cuore della vita comunale nei secoli più gloriosi della storia di Pisa (gli studi esemplari di Emilio Tolaini danno conto di queste e moltealtre cose). La conquista fiorentina portò al progressivo rimaneggiamento della piazza, culminato al tempo di Cosimo I, quando la Piazza da comunale divenne conventuale, e fu dominata dalle fabbriche dell’Ordine di Santo Stefano. Il Palazzo degli Anziani divenne della Carovana, e assai più tardi fu assegnato alla Scuola Normale (caso, credo, unico in Italia di un Ateneo che si insedia dove fu la sede di un Comune). Giorgio Vasari ebbe un ruolo essenziale in questa trasformazione, che nella facciata della Carovana e nei suoi graffiti ha il proprio punto focale. In quella sapientissima scenografia, la piazza non fu pavimentata, né lo fu poi per secoli: e non certo per mancanza di fondi, data la centralità di quel contesto non solo per Pisa, ma per il Granduca. Fu una scelta, per l’appunto, scenografica: far risaltare la gran mole del palazzo principale, ma anche della chiesa conventuale e degli altri edifici, su una pavimentazione volutamente “povera”. Dallo sterrato della piazza, infatti, Spiccavano solo, selciati, due percorsi viari che si innestavano l’uno nell’altro (quelli da San Frediano e dal Borgo). Quella sobria armonia è stata alterata dall’asfalto, e andava ripristinata: ma come? Era possibile limitare il lastricato ai due assi viarii, e nel resto della piazza riprodurre alla lettera lo sterrato mediante pavimenti di aggregato naturale: come è stato fatto, per esempio, a Firenze a piazza Pitti e a Lucca a piazza Napoleone. La scelta è stata diversa: lastricare l’intera piazza con lastre di pietra, e organizzare la pavimentazione a partire da una croce di Santo Stefano posta al centro, dai cui vertici si dipartono gli “spicchi” di pietra. A mio avviso questa scelta è tecnicamente e storicamente sbagliata. Usa come “generatore” della forma della piazza la croce di Santo Stefano: ma questo è un falso storico, perché cancella la memoria della Pisa comunale e dell’antica  Piazza delle Sette Vie. Nega l’irregolarità “medievale” della piazza, che il Rinascimento seppe rispettare, riducendola a una regolarità da cartolina. Oblitera i due assi viarii che la sistemazione cinquecentescametteva in risalto, e appiattiscele differenze di livello con i marciapiediche seguono il profilo degli edifici. Banalizza, insomma, una sofisticata architettura, sapientemente “teatrale”, che pur aveva resistito per secoli. Calpesta la repubblica pisana celebrando tardivamente la  conquista fiorentina che la mise a ferro e fuoco. Abolisce il contrasto fra la piazza “povera” e la gloria degli edifici che la circondano, mentre il grigiore del lastricato finisce con l’essere un piatto equivalente dell’asfalto.
Queste sono, io credo, le ragioni della storia, o almeno il modo come io so vederle e argomentarle. Potrei aver torto? Certo. Ma vorrei che qualcuno avesse la pazienza di spiegare perché: da quando formulai queste argomentazioni cinque anni fa, nessuno l’ha mai fatto.
Né allora,né ora.

*Articolo tratto da Il Tirreno 23/1/2012

Per il progetto di riqualificazione di Piazza dei Cavalieri:

Aggiornamenti sul dibattito:

Ewa Karwacka sull'intervento: http://iltirreno.gelocal.it/pisa/cronaca/2012/01/27/news/sbagliato-l-intervento-in-piazza-dei-cavalieri-1.3115675





PROPOSTA DI PROGETTO PER LA NUOVA COPERTURA DEL MEMORIALE DI MOSE'
Giordania




La copertura provvisoria a protezione del sito, ad oltre quaranta anni dalla sua realizzazione, ha disegnato un profilo che ormai si è impresso nella memoria di chi osserva il Monte Nebo. Il nuovo progetto  tiene conto di questo aspetto e si cala sulla sommita’ di Siyagha con un intervento esterno  minimo, tale da non alterare significativamente lo skyline del monte.





L’architettura cerca di valorizzare l’esistente, così denso di storia e testimonianze archeologiche, mettendosi in rispettoso dialogo con i resti del passato e la sacralità del luogo, ricucendo i frammenti, e realizzando un’adeguata accoglienza alle funzioni che vi si svolgono.
Siyagha ha la duplice funzione di area archeologica e di zona di culto, il progetto mira a realizzare condizioni di visita confortevoli conservando al tempo stesso l’atmosfera di raccoglimento che caratterizza i luoghi di spiritualità.

 


I materiali utilizzati rivestono il fondamentale ruolo di tradurre in sensazioni il significato profondo  dell’architettura, ad essi è affidato il compito di trasmettere la fisicità e insieme la trascendenza di questo luogo.





Il rame, con cui la zona ha una confidenza antica testimoniata anche dai testi sacri, svolge una doppia funzione di protezione e contenimento degli spazi. All’esterno la copertura subirà il processo di trasformazione e di invecchiamento inserendosi in modo naturale nel paesaggio desertico dalle tonalità tenui ed arse; 






 all’interno un gioco composto di lastre voltate e falde sospese a più strati filtra la luce naturale dei lucernari, scherma la struttura portante e la fascia tecnica e di areazione superiore.    





tali elementi aiutano la lettura dei diversi ambienti liturgici che si sono addizionati nel corso del tempo, ricomponendone l’immagine e distinguendo idealmente, dall’alto, la basilica dalle cappelle laterali dal presbiterio, comunicando la sensazione di ambienti distinti senza peraltro intendere ricostruire le originarie soffittature perdute. 



Particolare attenzione viene data all’illuminazione: si evitano fonti dirette creando condizioni di luce diffusa e penombre che risaltano le diverse qualità degli ambienti senza penalizzare la lettura dei mosaici.




Il vetro utilizzato lungo il perimetro esterno e’ lavorato e posto in opera a tessere longitudinali, quasi come un’ideale continuazione del paramento in pietra che gradualmente diventa translucido. Lascia passare una quantità di luce modulata, diffondendola, rendendola corposa e materica con effetti che recano la memoria degli antichi vetri a stampo, dell’onice e dell’alabastro. le tessere di vetro potranno eventualmente essere realizzate da artigiani locali.  





Progetto Agosto 2007, committente P. Michele Piccirillo.
Autori: Michele Londino, Umberto Panconi, Laura Pommella


Link ai progetti per la nuova copertura commissionati dalla Custodia di Terra Santa, tramite lo Studium Biblicum Franciscanum
e nella persona di P. Michele Piccirillo:


Notizie su Siyagha e aggiornamenti: